Marino Bertolotti
Solo in Piemonte esistono undici varianti di questo delizioso formaggio: il Tomino, originario proprio della regione del Nord Italia, è prodotto con latte vaccino, ovino o caprino, a seconda delle tradizioni locali e degli allevatori.
Il nome probabilmente deriva dal francese “Tomme” (formaggio), che in dialetto piemontese è diventato “Toma” per indicare forme più grandi e “Tumin” per quelle piccole. Secondo un’altra ipotesi, invece, il termine proviene dal piemontese “Tuma”, che indica la coagulazione della caseina provocata dal caglio.
Le origini del Tomino sono antiche: ogni famiglia che possedeva qualche capo di bestiame lo preparava per consumo personale.
Si tratta di un formaggio di piccola dimensione e forma circolare, disponibile sia fresco che stagionato. In Piemonte, come dicevamo, ne esistono undici varianti. Ognuna presenta leggere differenze nella lavorazione: ci sono i tomini di Talucco, di Rivalta, di San Giacomo di Boves, di Sordevolo, del Bot, Canavesano (fresco o asciutto), di Casalborgone, di Saronsella, di Melle e delle Valli Saluzzesi.
Il Tomino fresco va consumato in pochi giorni dall’acquisto perché deperisce rapidamente. Si gusta spalmato sul pane, con miele o confetture, o aromatizzato con prezzemolo o peperoncino, facendolo diventare ‘elettrico’.
Il Tomino stagionato è ottimo alla piastra, anche avvolto in speck o prosciutto crudo. La crosta resiste al calore, mentre l’interno diventa morbido e cremoso.
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